Un’improvvisa voglia di pizza, panino, o sushi, ma nessuna di uscire di casa per andare a comprarli?
Niente paura: le piattaforme di consegna a domicilio di cibo sono ormai proliferate, e con loro i riders, cioè la manovalanza che si occupa della consegna.
Ma il lavoro di rider conviene?
Sebbene non si possa essere troppo schizzinosi, si tratta di una delle categorie più bistrattate e meno tutelate del panorama occupazionale del nostro Paese, ormai atavicamente afflitto dalla penuria di impieghi.
È con l’intento di migliorare le condizioni del lavoro digitale che la Regione Lazio ha approvato le disposizioni per la tutela e la sicurezza dei lavoratori delle piattaforme digitali (cioè quei lavoratori che, indipendentemente dalla tipologia e dalla durata del rapporto di lavoro, forniscono un servizio a terzi mediante l’utilizzo di un’applicazione informatica).
Nello specifico la legge regionale prevede che la piattaforma digitale (datore):
- fornisca al lavoratore dispositivi di protezione conformi alla disciplina in materia di salute e di sicurezza sul lavoro
- provveda alle spese di manutenzione dei mezzi e degli strumenti utilizzati per l’attività di servizio
- attivi un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali in favore del lavoratore digitale, senza oneri per lo stesso, che copra anche eventuali danni a terzi durante lo svolgimento dell’attività di servizio, oltre alla tutela della maternità e della paternità
- assicuri un compenso a tempo, non inferiore alla misura oraria minima determinata dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali, e MAI un compenso a cottimo
- garantisca le indennità speciali nei casi, nella misura e secondo le modalità previste dai contratti collettivi
- fornisca ai lavoratori un’adeguata ed esaustiva informativasu tutti gli aspetti dell’attività ai fini della tutela della salute e della sicurezza del lavoratore digitale
- tuteli la parità di trattamento e non discriminazione.
Qualora le suddette norme non vengano rispettate è prevista una sanzione amministrativa compresa tra i 500 e i 2.000 Euro.
La Regione Lazio inoltre:
- ha istituito un’anagrafe delle piattaforme digitali a cui si può iscrivere anche il singolo lavoratore
- promuove la stipula di accordi con INPS, INAIL e compagnie assicurative.
Un’iniziativa, quella della regione, sicuramente lodevole, se non fosse che si rischia di trovarsi con una normativa contraddittoria che potrebbe addirittura essere deleteria, disincentivando gli investimenti da parte delle aziende, per un improvviso e ragguardevole rialzo del costo dei lavoratori.
Oltre al fatto che potrebbe essere dichiarata incostituzionale (determinando, di fatto, una diseguaglianza tra i lavoratori laziali e quelli delle altre Regioni).
A proposito di diseguaglianza...
A Bologna nel maggio del 2018 è stata firmata la “Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano”, che prevede, tra le altre cose, un generale obbligo di informazione in capo al datore di lavoro, un compenso orario fisso “equo e dignitoso” e una copertura assicurativa per i riders.
Diversa la situazione a Milano, dove “ci si è limitati” ad inaugurare il primo sportello dedicato all’ascolto, all’informazione e alla consulenza sui temi della sicurezza stradale e dei diritti del lavoro espressamente dedicato ai riders delle piattaforme di food delivery.
A luglio 2018 risale un accordo siglato delle rappresentanze sindacali e industriali del mondo dei trasporti e della logistica che ha stabilito la durata massima della prestazione lavorativa dei riders in 39 ore settimanali e l’obbligo, per i datori di lavoro, di fornire adeguati sistemi di sicurezza.
Se non che a Firenze si è stabilito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per questi lavoratori, prevedendo anche un’indennità oraria durante il periodo di messa a disposizione e un premio per la consegna.
Altrove invece il rapporto di lavoro dei riders è stato ricondotto alle cosiddette co.co.org, cioè le collaborazioni coordinate e organizzate.
Insomma, una costellazione normativa regionale a macchia di leopardo, a fronte della quale sarebbe invece più utile un sistematico intervento da parte del legislatore statale.