Non è sufficiente dire “da oggi si digitalizza il Paese” per assicurarsi che ciò realmente accada, o che accada con profitto: c’è bisogno, tanto a livello pubblico che privato, che si realizzi una svolta culturale e politica.
In definitiva la digitalizzazione non è un processo che può essere calato dall’alto, né può essere ancora pensato secondo le vecchie logiche di automazione a silos (vale a dire una visione dell’informatica come automazione di singole funzioni di elaborazione dati, slegate da una visione globale e di processo delle relazioni tra l’organizzazione in sé, le sue interfacce e i cittadini).
Il tutto complicato da una visione “tradizionale” dell’automazione, che ritiene che la soluzione affidata ed eseguita da macchina sia definitiva; senza comprendere invece come la vera informatizzazione sia sempre in evoluzione, e muti con la realtà, essa stessa mutevole.
Andrebbe piuttosto attuato un massiccio programma di supporto alla formazione dei lavoratori attivi, così da renderli in grado di personalizzare la tecnologia adattandola ai diversi contesti.
Anche perché, qualora non si sia autonomi, sarà sempre necessario rivolgersi ad un fornitore esterno, con un amento ad un certo punto insostenibile di costi e tempi.
È dunque a monte che è necessario un cambiamento, a partire da una classe politica che invece che rincorrere i termini più alla moda nella sfera del digitale dovrebbe affrontare alla base un tema fondamentale.
Per cui, se da un lato è positiva la spinta della ministra Giulia Bongiorno sulla trasformazione digitale della PA, dall’altro senza provvedere ad un significativo aumento delle assunzioni di diplomati e laureati in informatica la situazione non si smuoverà dall’impasse attuale.
E certo il discorso non riguarda solo il pubblico: anche nel sistema produttivo privato del nostro Paese il digitale viene usato poco o nulla, e i motivi sono sempre da rintracciare in una cultura che percepisce il sistema informatico come una rigida “gabbia” che ne determinerebbe la morte, piuttosto che come un’informatica “personalizzata” che accompagna l’azienda in modo flessibile, come se fosse una persona, ma che è in grado di lavorare senza stancarsi e senza sbagliare.
E questo non lo si può ottenere comprando soluzioni “chiavi in mano”!
Se i fondi stanziati vengono adoperati soprattutto per acquistare macchinari e soluzioni estere, è difficile che il nostro Paese possa crescere in competenza e know-how.
Insomma, l’Italia vive un problema di approccio sia culturale che politico: basti pensare alla differenza con gli americani, che addirittura l’anno passato hanno istituito il “Consiglio Nazionale per il Lavoratore Americano” con l’obiettivo di migliorare istruzione e formazione professionale dei lavoratori, in modo da renderli competitivi in un sistema industriale sempre più digitalizzato.
In buona sostanza, si dovrebbe capire che l’investimento migliore non è quello che punta ad avere un hardware e un software performantissimi (che magari dopo 3-6 mesi non sono in grado di adattarsi ai cambiamenti nel frattempo sopraggiunti), ma quello che punta ad avere persone capaci di adattare le soluzioni digitali alle esigenze di un contesto perennemente mutevole.
È proprio per questo che noi di Copying Srl, in collaborazione con Leviathan srl, abbiamo fondato Sartorie Digitali, il progetto di Formazione su Misura per lo Sviluppo Digitale delle Imprese (Workshop, Corsi e Seminari) rivolto a manager, imprenditori e professionisti interessati ad approfondire i temi della Digital Transformation.
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